Santa Maria di Sala: Una Chiesa da salvare.

di Livia Narcisi.


La Chiesa di S. Maria di Sala si trova a circa 3 Km a N di Farnese, in provincia di Viterbo, al margine del bosco del Lamone, una selva in cui sono state rilevate le tracce di molti insediamenti antichi. Nel luogo dove è Sala, in particolare, sono stati scoperti i resti di una necropoli etrusca e di un sito medievale composto da una Chiesa, un abitato rupestre, un castello, una necropoli e un ponte.
Sull'identificazione della Chiesa non sussistono dubbi, mentre i resti del Castello, oggi difficilmente visibili, danno una solida conferma a quello che il Silvestrelli ipotizzò a proposito dell'identificazione e dell'ubicazione di un castello di Sala, citato nel Codice Diplomatico di Orvieto, non identificabile con quello situato vicino a Ficulle, nell'Orvietano, ma come un altro localizzabile tra Farnese ed il Voltone.
Questo toponimo sembra ricorrere spesso in quei luoghi, dando così ulteriore conferma al suo significato. Sala, infatti, è un termine di origine longobarda, da porre in relazione con lo stanziamento di quel popolo in questa zona.
E' il centro della curtis, sia essa la casa per residenza padronale o l'edificio per la raccolta delle derrate dovute al padrone, con diritto regio oppure privato.
La Chiesa di S. Maria è situata nei pressi del fiume Olpeta, che nasce dal lago di Mezzano e va a gettarsi nel Fiora, costruita lungo un pendio di una piccola altura. Questo tipo di ubicazione deve aver creato molti problemi nel corso della sua erezione. Essa, infatti, è posta proprio in un punto in cui il terreno è ancora scosceso, mentre solo qualche metro più a valle si distende e diventa pianeggiante fino a raggiungere la riva del fiume.
A pochissimi metri dalla chiesa, in prossimità dell'abside, si trova una sorgente che sgorga dalla parete della roccia, che è stata regolarizzata artificialmente per poter accogliere l'edificio sacro. Una piccola porta, larga 58 cm., oggi murata, è sul lato nord della costruzione, a breve distanza dalla sorgente, evidentemente in rapporto funzionale (probabilmente rituale) a questa. La chiesa è a pianta rettangolare con una sola navata, che misura 17,46 m. in lunghezza e 5,32 m in larghezza, e termina ad ovest in una piccola abside semicircolare. Il portale, sul lato est, ha una lunetta che reca ancora tracce di pittura. Le finestre, a fessura con doppia cornice, sono tre sul lato lungo della chiesa e due ai lati dell'abside. Un'altra è posta sopra il portale e presenta una decorazione mancante alle altre. Incassata tra le due cornici che la conchiudono, vi è infatti una ghiera a sezione circolare, interrotta da due capitelli compositi. Il tetto, attualmente crollato, era a due spioventi sorretti da capriate, il campanile a vela ed il pavimento realizzato con mattoncini di cotto posti a spina di pesce. Due porte sul lato sud danno accesso ad altri ambienti addossati alla chiesa, che seguono la pendenza del terreno, costruiti su due piani probabilmente in epoche differenti. Dovettero servire da sagrestia e da abitazione per gli eremiti che durante i secoli vi presero dimora. Un altro locale, una specie di nartece, di altezza inferiore rispetto alla chiesa, è costruito davanti all'entrata, addossato alla parete di facciata, proseguendo in linea retta il lato lungo dell'edificio. Presenta un'apertura ad ampio arco a tutto sesto, che fronteggia il portale della chiesa originaria. Anche il tetto di questo ambiente esterno era a doppio spiovente, posto appena sopra la lunetta. Quest'ultimo ambiente fu di certo costruito in tempi successivi all'erezione del corpo principale dell'edificio; il fatto risulta evidente dall'osservazione delle differenti murature, quella dell'avancorpo composta da pietre informi di varie dimensioni, legate da abbondante malta, quella della chiesa, estremamente regolare, costituita da blocchi di tufo ben squadrati, con un'altezza costante di 30 cm. e di larghezza variabile, disposti su file regolari e quasi senza malta. La piccola abside è stata consolidata nei tempi recenti con l'aggiunta di una notevole quantità di malta stesa a tamponare gli interstizi tra le pietre.
L'interno della chiesa, attualmente quasi del tutto invaso dalla vegetazione infestante, è difficilmente accessibile. Le pareti sono rivestite da intonaco bianco e un piano rialzato, delimitato dalla balaustra, divide il presbiterio dalla navata. Il presbiterio è composto da una tribuna alla quale è addossato l'altare, mentre sopra di esso erano collocati tre affreschi incorniciati da una decorazione a stucco; nel catino absidale sono dipinte stelle su fondo azzurro.
Degli affreschi, staccati e restaurati nel 1979 e trasferiti nel palazzo comunale di Farnese, ne rimangono soltanto due; rappresentano una Annunciazione ed una Maestà, mentre un terzo, lasciato in situ, risulta illegibile a causa del grave deterioramento. Un quarto affresco, raffigurante una Madonna con Bambino e S. Sebastiano, anch'esso trasportato nel Comune di Farnese, era in origine collocato lungo la parete destra della navata.
L'Annunciazione Nel primo affresco, l'Annunciazione, la scena è ambientata in un interno dove, però, non vi è traccia di architetture e lo sfondo è rappresentato esclusivamente da un telo decorato con motivi floreali. La Vergine, in piedi con le mani incrociate sul petto, è in posizione di humiliatio; davanti a Lei un leggio un libro aperto e un calamaio. L'angelo, inginocchiato sulla sinistra, indossa un abito sfarzoso, reca nella mano destra un giglio con tre fiori e nella sinistra un cartiglio con su scritto ave. Il tentativo di rappresentare il movimento dell'angelo, che giunge in volo arrestandosi al cospetto della Vergine, è realizzato esclusivamente attraverso la posozione delle ali, ancora alte e aperte, nonché attraverso il frazionamento ed il piegamento graduale delle diverse parti del corpo. Dall'alto lo Spirito Santo, sotto forma di colomba, dirige i suoi raggi verso la Vergine, davanti alla quale è inginocchiato un piccolo frate in posizione di donatore, con abito scuro e cappuccio corto. Sebbene la mancanza di architetture sullo sfondo ci riporti ai modi trecenteschi, i caratteri stilistici, che rivelano una probabile ispirazione all'ambito senese, fanno invece pensare ad una datazione collocabile nella prima metà del XV secolo.
La Maestà Nel secondo affresco, la Maestà, la Madonna di aspetto imponente, tiene aperto nella mano destra il Vangelo di Luca, dove si leggono le prime parole pronunciate dall'angelo nell'Annunciazione; il Bambino benedicente sulle ginocchia della madre, tiene nella mano sinistra un globo sormontato da una croce. La composizione è racchiusa dentro una nicchia. Il dipinto murale è probabilmente databile nella prima metà del XVII secolo, poiché dalla visita pastorale del vescovo di Castro effettuata nel 1603 l'interno della chiesa appare distrutto, mentre nel 1659, in occasione di un'altra visita, la chiesa risulta restaurata e, per la prima volta, viene fatta esplicita menzione dell Maestà posta nella stessa posizione da cui è stata poi distaccata.
L'affresco collocato in origine lungo la navata, la Madonna con Bambino e S. Sebastiano, è giunto fino a noi in cattivo stato di conservazione; lo sfondo è anche qui rappresentato da un telo dipinto con motivi decorativi, gli stessi che compaiono nella cornice che lo delimita. S. Sebastiano (santo protettore contro la peste) è sulla sinistra, legato con una fune alla colonna; il corpo è trafitto da frecce disposte secondo un rigido schema simmetrico ed è caratterizzato da una magrezza tale da far trasparire lo scheletro. Madonna in 
trono col Bambino e S. Sebastiano Sulla destra la Madonna è seduta su una sorta di sgabello di legno, anch'esso decorato e rappresentato come di scorcio; il Bambino, in piedi sulle ginocchia della Vergine, tiene la gamba sinistra alzata e piegata. Nella mano sinistra reca un libro mentre la posizione del palmo della mano destra, anche se non conservata, lascia intuire il gesto della benedizione, che sembra in parte rivolto verso il santo martire. Tracce di spolvero sono ancora visibili in corrispondenza della mano sinistra della Madonna, sul braccio sinistro del Bambino e sul libro. Dal momento che questa tecnica non viene usata prima del 1400, se non per le parti decorativi degli affreschi, possiamo considerarla come un terminus post quem per la datazione del dipinto, comunque non databile oltre la fine del secolo, considerando la rigidità dello stile.
L'acqua che sgorga dal costone roccioso presso la chiesa rende il terreno molle e acquitrinoso, creando probabilmente notevoli danni alla struttura, già in grave pericolo a causa della vegetazione che la ricopre e che si incuneatra i blocchi. Inoltre, il livello del terreno in questo punto è salito almeno un metro rispetto al livello di calpestio originario.
Le prime notizie storiche che abbiamo sulla chiesa di S. Maria di Sala risalgono all'ultimo quarto del XII secolo, quando il vescovo di Castro, diocesi di appartenenza di S. Maria, chiamò i Cistercensi dell'abbazia di Staffarda in Piemonte, "forse nel tentativo di far prendere sviluppo alla piccola famiglia monastica" che si era insediata nella chiesa nel X o nell'XI secolo. I Cistercensi arrivarono nel 1189. Nell'edificio giunto fino a noi è però difficile rintracciare caratteristiche architettoniche riferibili all'operato di quest'ordine. Né è detto esplicitamente in alcun documento che i Cistercensi al loro arrivo abbiano costruito una chiesa. Sembra invece plausibile che questa esistesse già prima della loro venuta. Alcune caratteristiche infatti, come la muratura così ben curata e, soprattutto, la finestra a doppia cornice con ghiera a sezione circolare e capitelli posta sulla facciata, sembrano piuttosto condurci nell'ambito dell'architettura romanica del senese. In particolare, il motivo della ghiera circolare, elemento già presente nell'architettura lombarda dal terzo quarto dell'XI secolo, è riscontrabile, difatti nelle pievi di Rapolano e Sarteano, nella facciata della badia Ardenghesca e nel duomo di Sovana, non lontano da S. Maria di Sala, in costruzione nella metà del XII secolo. Poiché tale elemento non sembra essere presente in quei luoghi prima del XII secolo, credo che possa costituire un terminus post quem per la costruzione della chiesa, comunque precedente al 1189, data di arrivo dei monaci cistercensi.
Le motivazioni che spinsero il vescovo di Castro ad offrire S. Maria di Sala all'ordine benedettino riformato credo siano da ricercarsi nei mutamenti politici che stavano avvenendo in quei luoghi. Tra il 1172 ed il 1203 i territori che erano di dominio del conte Ranieri di Bartolomeo passarono di proprietà ai conti Ildebrandini. Questi possedevano già Grosseto, Sovana, S. Fiora, Capalbio, Orbetello e l'Argentario con le isole. Tra i territori passati di dominio troviamo anche il Castello di Sala e nei primi anni del XIII secolo vi si aggiunsero Montalto e Castro.
L'insediamento dei Cistercensi dovette essere piuttosto problematico se ancora nel 1205 il Capitolo Generale incaricava l'abate di La Ferté di verificare se a S. Maria esistevano o meno le condizioni per garantire l'osservanza dell'ordine, che prevedeva la presenza di dodici monaci. La verifica dovette riportare esiti negativi, poiché un Pietro de Sala risulta essere residente nell'abbazia di S. Martino al Cimino da documenti del 1216-17. Così nel 1257 S. Maria di Staffarda vendette per 80 libbre ai Cistercensi di S. Martino al Cimino "i beni che possedeva nel territorio di Rocca di Sala, la grangia di S. Anastasio in Monte Calvello, i beni nelle valli di Casale, Sanguinaria ed Eosa , in Vegennio inter Ialla, nella valle de Camiliano, in Stençano, Farnese, Ischia, Oteano, S. Ermete, Valentano, Latera, Galliano, nel territorio di Meça, intus et foris, in çilla, valle de Bresça, Castiglione, Veia, Valle Gellata, le possessioni dei SS. Clerico e Lorenzo" e finalmente "La chiesa di S. Maria de Sala con l'obbligo di restaurarla e di pagare annualmente venti soldi al monastero pedemontano". Veniva così comprato insieme alla chiesa un numero cospicuo di territori, molti dei quali situati nei dintorni. Forse fu questo il motivo per cui S. Maria di Sala divenne uno dei sette luoghi in cui l'abbazia di S. Martino tenne costantemente amministratori. E, infatti, troviamo ora lì residente un frate Angelo. La chiesa dovette trascorrere nella seconda metà del XIII secolo uno dei suoi periodi più felici, quale centro amministrativo e probabilmente anche religioso di un territorio abbastanza vasto.
Ma vediamo cosa ne è stato del castello di Sala. Dopo essere passato di dominio dei conti Ildebrandini, appare nella divisione della loro contea, avvenuta nel 1216. Nel 1222 il gastaldo di Sala, insieme a quelli di farnese e di Castiglione, confermò l'omaggio feudale al comune di Orvieto e nel 1223 gli orvietani occuparono Sala, Ischia, Farnese e Mezzano, legittimando poi con atti ufficiali il possesso di qui territori. E' questa l'ultima volta che troviamo documentato quel castello di sala che il Silvestrelli, come abbiamo accennato all'inizio, localizzò tra Farnese e il Voltone.
Ma torniamo ora alla storia della chiesa, la cui ultima notizia è del 1319, mentre non sappiamo quando venne lasciata dai Cistercensi.
La documentazione successiva risale al 1478, data della più antica visita pastorale del vescovo di Castro di cui si sia conservato il ricordo, Nella chiesa viveva un eremita (Tommaso) dell'ordine degli Agostiniani; da questo momento in poi a S. Maria troveremo sempre la presenza degli eremiti, cosa che ci induce a pensare che non esistessero più centri abitati nelle immediate vicinanze. Il documento afferma che la chiesa era stata data in commenda al frate da Battista Anguillara di Farnese.
Sappiamo poi che nel 1588 la chiesa ha un rettore, un presbitero di Farnese di nome Fabrizio Cipolletta, che troviamo in carica ancora nel 1603 e più improbabilmente, anche nel 1659 come possessore del "beneficio semplice" di S. Maria di Sala.
Da un documento datato 1809 S. Maria risulta essere un feudo indipendente da quello di Farnese e la chiesa , almeno fino al 1851, non sarà mai soggetta alla parrochia del vicino centro abitato. Infatti è solo da quest'ultima data che la troveremo inserita tra le chiese che pagavano prebende alla parrocchia di Farnese.
Integrando, infine, i dati (sebbene non abbondanti) ricavabili dagli aspetti strutturali, pittorici e storici relativi a S. Maria di Sala, è comunque possibile fare alcune osservazioni di carattere interpretativo. L'Annunciazione di cui si è già parlato è direttamente documentata dalle visite pastorali a partire da quella del 1596, dove è descritta come posta nella tribuna al di sopra dell'altare maggiore. Una posizione di preminente importanza, quindi, legittimata dal nome che in quel tempo venne dato alla chiesa stessa, andando a sovrapporsi a quello di più antica tradizione. Nello stesso documento, infatti, è detto eodem die accessit ad ecclesiam campestrem sub invocatione S. Mariae Annunciatae seu S. Marie de Sala.
Nelle visite pastorali degli anni seguenti è sempre sottolineata la celebrazione della festività dell'Annunciazione e ancora fino alla prima metà del nostro secolo, nella chiesa si officiava in quel giorno, che cade il 25 marzo. Ci troviamo, quindi, di fronte ad una continuità culturale che rimanda al significato simbolico che quell'evento aveva presso gli agricoltori. L'Annunciazione è per loro la "festa della fecondità", per cui diviene immediato il rimando dalla simbologia della Vergine che riceve lo Spirito Santo da cui nascerà Gesù, a quello della terra che in quel periodo accoglie le sementi. I frutti che nasceranno rappresentano la fonte di sussistenza primaria per l'economia contadina, condizionata dall'acqua. La paura della siccità, che poteva impedire un buon raccolto, se non addirittura annullarlo, costituisce una delle maggiori ansie di coloro che dalla terra traggono sostentamento. Sulla base di testimonianze orali raccolte a Farnese, sappiamo che fino a mezzo secolo fa, quando non pioveva per molto tempo, si andava a pregare la Madonna a S. Maria di Sala.
Credo che a questo ounto si possa tornare a prendere in considerazione la singolare ubicazione della chiesa (posta lungo un pendio che fu in parte sbancato, per lasciare spazio all'edificio sacro, pur in presenza di prossime aree pianeggianti) e si possa mettere questa in rapporto con la vicina sorgente. S. Maria si qualifica così come centro religioso di una comunità rurale che vede in essa la possibile soluzione delle proprie inquietudini legate alla terra.
Questa è probabilmente la ragione alla base della "morte" del nostro luogo sacro: inizia l'era della società industriale, che ha favorito lo spopolamento delle campagne o, comunque, la diversa soluzione ai problemi legati all'agricoltura, vengono meno le ragioni alla base della vita stessa di S. Maria di Sala.




Tratto da INFORMAZIONI periodico a cura del C.C.B.C.
della Provincia di Viterbo - N. 10 anno III - Gennaio/Giugno 94.